Una rivoluzione temperata/L’esperienza romana e la libertà di religione IX Febbraio: Mazzini, Unità e Repubblica Quando il ministro degli Esteri di Napoleone Terzo, Alexis de Tocqueville, dai banchi del Parlamento spiegò che tra le ragioni della spedizione francese contro la Repubblica romana vi erano gli eccessi delle bande mazziniane, persino dalla sua stessa maggioranza provennero dei mormorii di disapprovazione e delle risate. Qualche parlamentare, più audacemente, lo accusò di confondersi con l’altra Rivoluzione, quella per cui i di lui studi avrebbero fatto passare Tocqueville alla storia. Perché, in verità, nella rivoluzione romana i casi di violenza si ridussero ad una manciata e, stando alle ricostruzioni più accurate, si motivano per rese dei conti di tipo personale, comunque non attribuibili alla politica del governo repubblicano. Il potere repubblicano fu mite come il clima di Roma. L’insurrezione del popolo si sviluppò attraverso l’omicidio del primo ministro del Papa Pellegrino Rossi – e questo poteva essere anche stato un mazziniano, si sospetta Ciceruacchio stesso - e poi con l’assalto al Quirinale dove probabilmente morì un vescovo che affacciatosi alla finestra venne preso in pieno da una fucilata e tutto si concluse qui. Appena Mazzini arrivò a Roma tutto si calmò. Il Papa era fuggito la notte, con le vesti di un semplice prete, dietro degli occhiali dalle lenti color verde bottiglia, da cui la città spopolata dovette sembrargli ancora più strana. Ma Pio IX era fuggito sua sponte e per non dover assistere alla formazione del governo che lo aveva deposto: nessuno lo aveva minacciato. Le Chiese che in Francia durante la rivoluzione furono saccheggiate ed i preti che non si erano piegati ai voleri della Convenzione, sbeffeggiati o peggio, a Roma furono rispettati. Quando Garibaldi chiese a Mazzini di requisire le panche delle Chiese per allestire altre barricate, il permesso gli fu negato. La Repubblica non avrebbe insidiato i luoghi di culto. E’ una questione dirimente che caratterizza la rivoluzione quale la si era conosciuta in Europa e come si era preoccupata di farla conoscere Mazzini all’Italia. Non si trattava tanto di continuare l’esperienza del 1848 che aveva fatto fuggire Metternich a Vienna e Guglielmo d’Orange da Parigi, ma proprio di mettere in questione le dinamiche del 1789. L’idea repubblicana non sarebbe camminata sulla punta delle baionette, e tantomeno con la guerra. Mazzini non intendeva nemmeno combattere la Chiesa e se si pensa poi alla terza guerra di indipendenza, si vede come fosse scettico persino sullo scontro armato con l’Austria, soprattutto se sotto l’egida di casa Savoia che pure infiammò tanti suoi sodali. Mazzini non intendeva la liberazione dell’Italia come uno scontro militare fra potenze, voleva invece la mobilitazione del popolo nel rispetto delle leggi di Dio. L’unico nemico vero di Mazzini erano i tiranni. Umberto Orsini che per l’attentato a Napoleone Terzo avrebbe ucciso decine di civili innocenti, era uscito dal mazzinianesimo, e aveva rotto i rapporti con il maestro. Tutti gli atti di terrore che si sarebbero poi verificati nel secolo successivo, fino a culminare con l’attentato del 2011 a New York, sono stati emuli delle gesta di Orsini e distanti anni luce dalla dottrina mazziniana. Mazzini armava la mano con un coltello per colpire al cuore il tiranno; Pellegrino Rossi, forse non lo era in senso proprio, ma rientrava comunque in quei canoni di rappresentazione dell’oppressione. Di certo non forniva la bomba per colpire i sudditi. Il sacrificio di mazziniani come Pisacane si spiega in questa luce: bisogna convincere il popolo e, se non lo convinci, sei morto. Questo insegnamento trovò il suo coronamento fugace nell’esperienza romana. La Comune di Parigi, che segnò anni dopo un irrigidimento della lotta di classe in Francia, non ebbe il sostegno di Mazzini, al contrario. Le classi devono poter collaborare fra loro per il progresso e lo sviluppo del loro paese. Mazzini chiedeva unità al punto che fu costretto a chinare la testa alla forza del re sabaudo, ritenendo l’unità nazionale prioritaria rispetto alla Repubblica. Lo spirito mazziniano si riesuma negli anni della lotta al fascismo; il comitato di liberazione nazionale riuniva le forze più disparate, accomunate fra loro dalla necessità di liberare l’Italia dal nazifascismo, come prima bisognava liberarla dall’austriaco o dal potere temporale. Le distinzioni restavano, ma l’azione politica era prioritaria rispetto alle differenze ideali. Nella stessa Repubblica romana non c’erano partiti. C’era un solo movimento repubblicano che si riconosceva in Mazzini. Si capisce che i dirigenti repubblicani alla morte del loro capo si preoccuparono di mummificarne il cadavere volendo esporlo pubblicamente in giro per tutta l’Italia. Senza Mazzini l’unità di azione del partito sarebbe stata sempre più difficile da conseguire, tanto che ci fu un tempo in cui ci si affidò persino alla salma. |